Il Cibo
Nei nostri gesti si nascondono le nostre opinioni e considerazioni di cui non sempre abbiamo piena consapevolezza. Nell’affrontare la vastità dei gesti ne scelgo uno per verificare quanto sia vera o no la frase iniziale, di quanto di inconscio in essi (gesti) stia racchiuso.
Ci si nutre per sopravvivere e questo è sicuramente vero; senza una alimentazione il nostro corpo non potrebbero vivere al lungo. I digiuni portano ad una lenta consumazione del fisico, molto più veloce ha il suo effetto l’astenersi dal bere.
Ebbene superata la premessa della sua necessità possiamo rivolgere l’attenzione ad altri elementi. Invece di porre l’attenzione sulla qualità dei cibi pongo il mio interesse su chi il cibo lo assume.
Al di là della classificazione di onnivoro, vegetariano o vegano o altro ancora, che ci dicono di cosa si nutre l’individuo, si può spostare il quesito sulla modalità di assunzione del cibo. Ognuno fa delle scelte consapevoli sul cibo ma la particolarità dell’assunzione non si evince dalla scelta di esso.
Perché il modo di cibarsi sia compreso io credo necessario scoprire quale immagine sottende la persona quando ha se stesso di fronte.
Se fosse operante il modello della macchina allora ci si troverebbe di fronte ad un carrello da riempire, un serbatoio da rabboccare prima che rimanga senza benzina. Il tempo della nutrizione assume per alcuni una necessità irrinunciabile ma non colma di passione; riempi e scappa si potrebbe dire. Non ci si prepara al momento della nutrizione con una animo ricolmo di devozione per i frutti della terra che sono stati donati perché la nostra vita potesse proseguire. Solo dalla vita può arrivare altra vita, il nutrimento di vita può sostenere altra vita.
Se non c’è una disponibilità alla comprensione di questa relazione il nutrimento assume una forma di riempimento. Sono quelle persone che per sè non bandiscono la tavola, si nutrono con una disattenzione verso se stessi; orbene non è che la tavola deve essere principesca ma attraverso le poche attenzioni si finisce col pensare piano piano di essere privi di un certo importanza, di perdere il proprio valore. Non è quindi quella volta che per necessità ci si muove velocemente, e un tocco di pane è sufficiente.
Il continuo ripetersi di quella mancanza di calore, che sostiene il processo della digestione, che porta ad avere un freddo emotivo fuori al quale fa da altare un freddo dentro. Non ci stupisce che poi la poca attenzione si trasferisca anche ad altri aspetti della vita.
Un altro modo di nutrirsi e a differenza del precedente, non si concentra nella necessità del togliere il senso della fame . È quello affascinato, innamorato della sostanza tanto da sprofondarci in essa; la spasmodica ricerca della sazietà a prescindere dal gusto; quasi fosse unicamente la pienezza della bocca l’obbiettivo e la relazione col cibo fosse di puro uso al fine di controllare e soddisfare l’istinto della fame.
Questi fanno emergere la corrispondente immagine di chi sprofonda nel proprio metabolismo e rimane in qualche modo catturate da esso senza portare luce nella propria azione.
Se invece si riesce a non cadere nella unilateralità ci si apre alla piena comprensione dell’evento della nutrizione che non soltanto acquietare il senso della fame, neppure il diventare, in qualche modo, emblema della gola.
Nutrirsi, nella sua accezione più evoluta, comporta una dedizione ad un momento importante e nel suo esprimersi, si apre alla conoscenza della sostanza che costituisce l’elemento dell’alimento, la sua origine, quello che a volte si porta dietro o alla sua lavorazione.
Fermarsi a percepire ed esprime una certa gratitudine per chi ha preparato il cibo fosse anche noi stessi; portare dentro di noi la percezione cosciente di sapori che fino dalla bocca agiscono alla preparazione del processo digestivo.
Una presenza che si evince anche dal processo della masticazione, volontà cosciente che inizia col far perdere la forma grossolana del cibo.
Allora se si compenetra di presenza e consapevolezza il processo di alimentazione seguirà il suo normale percorso sprofondando nell’inconscio e li agendo senza mandare fastidiosi segnali di qualche malfunzionamento.
Questa presenza comporta l’accensione di un calore che agisce nella fine distruzione dei cibi che devono essere sciolti dei legami della loro vita originaria e, gradino dopo gradino, ricostruiti e rivitalizzati con l’impronta di chi sta nutrendo.
Il calore della tavola non coincide unicamente con la piacevolezza della compagnia che a volte spinge a superare il limite di una giusta dose di cibo.
Avere un animo sereno durante il pranzo, ad esempio, può garantire una migliore digestione. La rabbia fa rimanere le cose sullo stomaco come molte volte ci si può sperimentare.
Pertanto il momento dell’ alimentazione può comportare diversi assetti interni con i quali ci si accosta all’evento nutrizione.
Cercare di costruire una migliore consapevolezza può diventare un habitus mentale in tutte le azioni quotidiane che può permettere di uscire da una forma di alienazione, nella quale è facile cadere se non si esercita una vigile azione del nostro Io.