Considerazioni attorno al Coronavirus
Le considerazioni che seguono non si prefiggono lo scopo di dare indicazioni mediche sulla gestione della diffusione del Covid 19, che lascio nelle mani dei colleghi sicuramente più preparati nel campo dell’infettivologia. Saranno solo delle riflessioni di carattere sociale e del loro risvolto psicologico che sottende i comportamenti; tutto è così provvisorio come può esserlo una situazione liquida in una società liquida.
Prevale il senso della paura per l’infezione, per le conseguenze mediche che sono di una certa importanza e rilevanza clinica.
Si è trasformato il concetto di pericolo; una volta era l’estraneo; quello che viene da fuori, sui barconi. Oggi la sorgente del contagio può essere il tuo vicino, il tuo parente più prossimo.
La preoccupazioni e il timore possono indurre al più sicuro isolamento e rendere dimentichi dei bisogni degli altri; di contro si trovano esempi di sacrificio, di dedizione e cura per il sofferente, per quelli bisognosi e isolati.
Negli ospedali si hanno prove di quest’ultimo tipo che faranno onore alla classe medica, molte volte vituperata se non aggredita.
Le situazioni estreme per la loro drammaticità hanno la forza di mettere in evidenza i comportamenti, i sentimenti che li sostengono.
È facile detestare quelli che stanno lontano, caricarli di ogni colpa senza dare la possibilità di difendersi. Ma quando il sospetto ricade su un caro tutto diventa più difficile, ci si sente abbandonati, ci si sente di tradire la fiducia nel momento in cui si chiede all’altro se ha la febbre o se si è lavato le mani.
Rimane forte il sentimento del sospetto. Eppure c’è in gioco la vita e ciò che dovrebbe essere il rispetto reciproco, che nella vita di poco tempo fa era dato per scontato perché non costava fatica; diventa ora esercizio secondo le direttive OMS, del Ministero della Salute.
Non si capisce se seguire quest’indicazione sia una perdita della libertà individuale o la ricerca di un bene comune, che supera la volontà delle singole persone, con il loro egoismi, con le loro convinzioni.
Il bene comune richiede la rinuncia al soddisfacimento dei propri desideri, se non tutti almeno di una parte. Visto alcuni comportamenti, che la cronaca rimporta, non è scontato sostenere che il bene della collettività vale qualche rinuncia individuale: fuori c’è il sole e la neve durerà poco e ci si annoia.
C’è da chiedersi se rimanere in compagnia di noi stessi unicamente di noi stessi o di pochi altri, non sia una situazione così difficile da sopportare visto il continuo desiderio di fuga verso altri lidi.
L’adesione quindi alle richieste della pubblica autorità sembra scontrarsi con la faciloneria di chi si adegua unicamente perché obbligato in forza di una coercizione presente o minacciata.
Si apre uno scenario che non può che dividere; chi si ribella e mette a rischio la battaglia per il contenimento della diffusione del contagio, chi, dall’altra parte, si sente minacciato dalla presenza di tali comportamenti e atteggiamenti e li giudica come un agito da censurare.
Ci serve uno stato di polizia per far rispettare le regole che salvano la vita di un gruppo di persone; si evidenzia quello che può essere letta come un’immaturità di una società, che rispetta solo il forte e attacca il debole.
Fare quello che si vuole rappresenta la manifestazione di una libertà, di un diritto della vita “democratica” oppure diviene lo spazio della manifestazione dell’egoismo? Se gli eventi che segnano portano anche qualche forma di saggezza, bisognerà ripensare al proprio modo di stare al mondo, di uscire dalla sicura forza del proprio narcisismo per aprirsi alla accettazione di essere un membro della comunità civile; solo in questo si può trovare risposta e futuro per l’evoluzione dell’uomo.