Quarantena
Dopo giorni di quasi perfetta chiusura in casa, la cosiddetta quarantina, mi sono venuti in mente alcuni scritti che affrontano il tema del ritiro sociale.
Partendo da quei giovani che si ritirano spontaneamente dalla vita sociale, chiudendosi nella propria casa se non nella propria stanza, che in Giappone, dove questo fenomeno si è diffuso ed è studiato sono chiamati Hikikomori, si rifiutano di uscire nel mondo esterno.
In breve tempo si trovano a non riuscire più ad accedere alla scuola e si allontanano altresì dalle incombenze che i riti sociali impongono loro.
So che il paragone è assai forte ma la stessa situazione la si vive in questi giorni in quanto il mondo esterno diventa luogo della paura.
Più comprensibile quando il ritiro è motivato dalla presenza del virus, ma diventa invece più difficile quando non ci sono ragioni così evidenti, anzi non appaio proprio esistere in quanto la realtà si mantiene stabile.
Nel primo caso la paura prende la forma della morte fisica, nel secondo diventa comprensibile attraverso l’accettazione di una morte non fisica ma psicologica, il senso di una caduta del proprio valore, di una ferita narcisistica provocata dall’impossibilità di far fronte alle richieste del mondo esterno.
In queste diverse motivazioni del ritiro coatto si assiste ad uno spostamento di oggetto della paura che in un caso ha come bersaglio il corpo ( vedi virus) nell’altro invece la mente.
In tempi molto remoti non erano poche le persone che facevano del ritiro una scelta di vita: il ritiro della vita monastica, quello degli eremiti.
Il motivo era la ricerca di una vita contemplativa rivolto allo sviluppo spirituale dell’uomo. Non ci si allontanava chiaramente per paura.
Ma sono differenze così sempre rintracciabili? Facilmente si direbbe che le differenze sono enormi. Di fatto, in questi giorni la limitazione della libertà è vera o è una rinuncia alle abitudini, alle azioni che si riproducono ogni giorno?
La libertà è questa ? Non si è liberi di decidere di stare a casa? Se non si dà a questo gesto un senso (magari contestabile come strategia per controllare il livello dell’infezione) allora si finisce per manifestare una posizione di non adulto; se l’imposizioni diventa subita ci si mette in una posizione pari a quella adolescenziale, che deve trasgredire l’autorità degli adulti, per non sentirsi mortificato e rimesso nella posizione che aveva appena abbandonato: quella del bambino.